Obesità, peso in eccesso ruba almeno sei anni di vita

400.000 italiani con scompenso cardiaco per colpa dei chili di troppo

Roma, 15 dic. (askanews) – “Fat but fit”, cioè “grasso ma in salute”, è un mito da sfatare: non è vero che chi è obeso e non soffre di diabete di tipo 2, ipertensione o colesterolo alto è protetto dalle malattie cardiache. Anzi, ha più rischi di svilupparle. I chili in eccesso sono fra le cause dirette dello scompenso cardiaco nei casi in cui il cuore non è in grado di riempirsi correttamente (con frazione di eiezione conservata), che riguardano circa la metà dei casi di insufficienza cardiaca e si accompagnano all’obesità nell’80% dei pazienti. Il ‘paradosso dell’obesità’ nasce anche da errori di diagnosi perché non è obeso soltanto chi ha l’indice di massa corporea superiore a 30, ma anche chi ha un accumulo di grasso addominale: il girovita non deve andare oltre 88 cm, nelle donne, o 102 cm negli uomini, e c’è un nuovo indicatore da tenere d’occhio, il rapporto girovita/altezza che deve essere minore di 0.5. Si stima che entro il 2035 metà della popolazione mondiale sarà in sovrappeso od obesa raggiungendo i 3,36 miliardi. L’obesità è una malattia che provoca importanti patologie cardiovascolari. Sono almeno 400.000 gli italiani con obesità e scompenso cardiaco, due patologie legate a doppio filo ed entrambe in continua crescita nel nostro Paese, dove gli obesi sono circa 6 milioni e i pazienti con insufficienza cardiaca oltre 1 milione. I chili di troppo sono spesso il primo passo sulla strada che porta allo scompenso e si stima che fino all’80% dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione preservata, pari alla metà dei casi, sia anche obeso. La combinazione è molto pericolosa, perché può aumentare fino all’85% il rischio di eventi cardiovascolari fatali, ‘rubando’ almeno 6 anni di aspettativa di vita. Lo ricordano gli esperti in occasione dell’84° Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia (SIC), a Roma fino al 17 dicembre, sottolineando che l’aspettativa di vita e quella di salute dei pazienti obesi sono più basse rispetto a chi è normopeso. Il paradosso è nato perché l’indice di massa corporea non è l’indicatore più adeguato della reale obesità che si misura meglio con un metro: il girovita deve essere meno di 88 cm nelle donne e 102 cm negli uomini, ma soprattutto deve misurare meno di metà dell’altezza, per la salute del cuore e non solo. Il 2023 è stato però l’anno della svolta per le terapie: è ora possibile trattare i pazienti con scompenso cardiaco con un farmaco specifico anti-obesità, la semaglutide, ottenendo un miglioramento dei sintomi e della funzionalità oltre che una riduzione significativa del peso corporeo. “Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita: l’insufficienza cardiaca oggi colpisce oltre un milione di italiani e si stima un incremento del 30% dei casi entro il 2030 – osserva Pasquale Perrone Filardi, presidente SIC e direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli – l’aumento dei casi è trainato in parte dall’incremento dell’aspettativa di vita, perché la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età e dopo gli 80 anni lo scompenso colpisce il 20% della popolazione. Tuttavia l’insufficienza cardiaca ha anche l’obesità fra le sue cause principali perché i chili in eccesso comportano, fra le altre cose, un incremento dell’infiammazione generale, un maggiore stress su metabolismo e sistema cardiovascolare e un aumento del grasso viscerale anche a livello cardiaco”. “È proprio il grasso viscerale e addominale il più pericoloso e quello che dovrebbe essere realmente misurato: la semplice valutazione dell’indice di massa corporea e quindi del rapporto fra peso e altezza non basta – aggiunge Ciro Indolfi, past-president della Società Italiana di Cardiologia e ordinario di cardiologia all’Università degli Studi “Magna Grecia” di Catanzaro -. È necessario valutare la distribuzione del grasso e non soltanto l’indice di massa corporea così ogni possibile vantaggio di sopravvivenza per gli obesi sparisce. L’obesità infatti fa male al cuore: la probabilità di avere un infarto, un ictus o un evento cardiovascolare fatale aumenta dal 67 all’85% rispetto a chi è normopeso, tanto che i chili in eccesso ‘rubano’ fino a 6 anni di vita, secondo un recente studio pubblicato su Jama”. “La buona notizia è che il 2023 è stato un anno di svolta perché l’obesità è diventata per la prima volta un target farmacologico per combattere lo scompenso cardiaco. Oggi, finalmente si può intervenire con una terapia mirata all’obesità. Lo studio SELECT pubblicato di recente sul New England Journal of Medicine, condotto su oltre 17.000 pazienti in sovrappeso od obesi con malattia cardiovascolare ischemica, ma non diabetici, dimostra che il trattamento con semaglutide sottocute una volta alla settimana riduce del 20% il rischio di mortalità cardiovascolare, infarto e ictus rispetto ai pazienti in trattamento con placebo. Questa è una evidenza destinata a impattare significativamente sul contrasto del rischio cardiovascolare. Il farmaco ha mostrato anche ottimi risultati sull’insufficienza cardiaca a frazione di eiezione preservata, – sottolinea Perrone Filardi – dove ha dimostrato di migliorare la qualità di vita e la capacità di esercizio dei pazienti”.

Fonte: askanews.it

Patologia incurabile dalla diagnosi complessa. Settembre è il mese dedicato allasensibilizzazione sulla PCOS

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è una condizione cronica che non può essere curata. La causa è sconosciuta e con una diagnosi complessa è uno dei disturbi ormonali più comuni che colpisce circa l’8-13% delle donne in età riproduttiva (Organizzazione Mondiale della Sanità). Proprio settembre è il mese dedicato alla sensibilizzazione su questa patologia, molto diffusa ma talvolta poco conosciuta.

“La sindrome dell’ovaio policistico ha un impatto significativo sulla salute metabolica e riproduttiva della donna e fino al 70% dei casi non viene diagnosticato – spiega Marco Grassi, ginecologo presso l’ospedale ‘C. e G. Mazzoni’ di Ascoli Piceno – l’origine della condizione rimane ancora oggetto di discussione, ma le donne con una storia familiare di diabete di tipo 2 corrono un rischio più elevato. Tuttavia, si può affermare che la PCOS rappresenta una complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo, caratterizzata da un aumento degli ormoni maschili (androgeni). Questo squilibrio ormonale porta a sintomi come eccessiva peluria sul viso e corpo (irsutismo), acne e calvizie di tipo maschile (alopecia androgenetica), e disturbi mestruali che includono cicli irregolari, assenza prolungata delle mestruazioni o cicli anormalmente lunghi. Inoltre, la sindrome si manifesta con l’ingrossamento delle ovaie, aumento del numero dei follicoli disposti perifericamente, alterazioni endocrinologiche e metaboliche, tra cui iperandrogenismo, resistenza all’insulina e iperinsulinemia. E’ importante notare che non sempre l’ecografia mostra chiaramente ovaie policistiche e alcune donne con PCOS potrebbero avere immagini ecografiche non indicative della condizione”.

Il trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è strettamente personalizzato, in quanto dipende dalle caratteristiche cliniche specifiche della paziente e dai suoi obiettivi riproduttivi e dal desiderio di avere figli.

“Nel caso in cui la paziente presenti sintomi come irregolarità mestruali, acne o irsutismo (eccessiva crescita di peli), può essere consigliata una terapia a base di pillole anticoncezionali contenenti estrogeni e progesterone per regolarizzare il ciclo mestruale e ridurre i livelli di androgeni, responsabili di molti dei sintomi tipici della PCOS. Per le donne che desiderano concepire, invece, l’approccio terapeutico cambia. In questi casi, si adottano trattamenti volti a stimolare l’ovulazione, con l’obiettivo di ripristinare la fertilità. Nelle pazienti in sovrappeso o obese, una perdita di peso è altamente raccomandata poiché può migliorare significativamente i sintomi e la risposta ai trattamenti. Un approccio basato su una dieta equilibrata e un’attività fisica costante non solo favorisce la perdita di peso, ma migliora anche il metabolismo e contribuisce a un migliore controllo della sindrome”.

La PCOS non implica necessariamente sterilità, come spiega il Ministero della Salute, e si ricorre all’induzione dell’ovulazione se la anovularietà è sistematica e unica causa dell’impossibilità di procreare. Inoltre stili di vita sani e corretti da tenere fin dalla giovane età della donna aiutano a prevenire questa particolare condizione clinica.

Fonte: askanews.it

Bilotta (direttore “Alma Res”): incidono età e comportamenti, ma spesso cura esiste

Combattere l’inverno demografico è una delle grandi sfide del nostro tempo. Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 ha evidenziato nel nostro Paese l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Il trend della denatalità dal 2008 (577mila nascite) non ha conosciuto soste, determinato sia da un’importante contrazione della fecondità (numero di figli per donne in età riproduttiva) sia dal calo del numero di donne in tale fascia di età (per l’invecchiamento della popolazione). Il numero medio di figli per donna negli ultimi sessant’anni è sceso dal 2.70 (1964) a 1.20 (2023) e già da quarant’anni non supera l’1.5 (1.48 nel 1984). Il bassissimo numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale (Nord: 1.21; Centro: 1.12, Sud e Isole: 1.24), mentre fino a trent’anni fa la fecondità era molto superiore nel Sud rispetto al Centro e al Nord (basti pensare che nel 1964 era 3.30 nel Mezzogiorno, 2.38 nel Centro e 2.37 nel Nord).

Un problema, quello della denatalità, causato non soltanto da ragioni economico-sociali (stipendi bassi, aumento del costo della vita, mancanza di servizi a sostegno delle famiglie, etc.), ma anche dalle crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio. In Italia è stata istituita la Giornata nazionale della salute riproduttiva (22 settembre), proprio con l’obiettivo di promuovere l’attenzione e l’informazione sul tema della fertilità.

“Secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia circa il 15% delle coppie è infertile e questa condizione può dipendere in egual misura sia dalla donna che dall’uomo. Non esistono in Italia dati specifici sulla prevalenza di questo fenomeno – afferma il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma -. Generalmente si parla di infertilità di coppia in caso di mancato raggiungimento della gravidanza dopo un anno di rapporti sessuali regolari e non protetti. Tra le cause primarie vi è senz’altro il fattore età – dai 40 anni in poi la percentuale di fertilità media è il 20% rispetto a quella riscontrata a 25 anni – ma anche abitudini non sane, come fumo, consumo di alcol oppure condizioni psicologiche limitanti, quali ansia e stress da ritmi di vita/lavoro troppo frenetici. Spesso, comunque, parliamo di patologie prevenibili facilmente curabili, per questo è molto importante una corretta informazione”.

Secondo i dati più recenti dell’ISS, nel 2021, oltre 86.000 donne in Italia si sono sottoposte a trattamenti di fecondazione assistita. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 35 e i 40 anni, seguita dalla fascia tra i 30 e i 35 anni. Il tasso di successo delle procedure varia in base all’età della donna e alla tecnica utilizzata, con una media nazionale del 25% di gravidanze per ciclo di trattamento di fecondazione in vitro. Le donne sotto i 35 anni hanno registrato i tassi di successo più alti, con una percentuale che raggiunge il 40%, mentre per le donne sopra i 40 anni il tasso di successo scende al 15%.

“Non esiste un percorso universalmente valido per tutte le coppie – spiega il Professor Bilotta – Per questo, l’obiettivo primario del nostro Centro è ricercare approcci personalizzati, basati su caratteristiche genetiche e biologiche individuali. Non solo: puntiamo al miglioramento delle tecniche di congelamento e scongelamento di ovociti ed embrioni e investiamo nello sviluppo di nuove metodologie per la diagnosi precoce di malattie genetiche rare”.

Secondo il direttore di Alma Res – che vanta oltre 17mila trattamenti di riproduzione assistita realizzati e più di 7mila bambini nati – è fondamentale continuare a migliorare il quadro normativo per assicurare un accesso equo e sicuro per tutti: “Nel Lazio, per esempio, le coppie che decidono di ricorrere alla fecondazione assistita tramite SSN si recano in altre regioni. Le motivazioni sono legate alla scarsa offerta pubblica o convenzionata nel territorio regionale, lunghe liste d’attesa e costi elevati. Con altri 21 Centri autorizzati privati, stiamo costituendo un Coordinamento a livello regionale: auspichiamo la creazione di un Network di centri pubblici e privati, disponibili a erogare prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, in modo da aumentare l’offerta e garantire alle coppie un maggiore accesso ai trattamenti di fecondazione assistita”.

Fonte: askanews.it

Ospedale romano eccelle anche per Gastroenterologia e Pneumologia

Dopo essersi confermato al primo posto tra i migliori ospedali italiani, per il quarto anno consecutivo, nella classifica World’s Best Hospitals di Newsweek, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs aggiunge altre medaglie d’eccellenza al suo palmarès per specialità, nel ranking dei World’s Best Specialized Hospitals 2025, appena pubblicato. Anche quest’anno, l’ospedale romano si conferma primo in Italia per le specialità Ginecologia e Ostetricia (quest’anno balzata al quarto posto della classifica mondiale, dopo aver esordito lo scorso anno al settimo posto), Gastroenterologia (che consolida la sua posizione all’ottavo posto nel mondo) e Pneumologia.

Sia la Ginecologia che la Gastroenterologia del Gemelli, secondo questa classifica, sono inoltre prime tra i Paesi dell’Unione Europea. Di rilievo anche il secondo posto in Italia dell’Endocrinologia e della Neurologia e il terzo posto dell’Oncologia, della Cardiologia e dell’Ortopedia. I risultati della classifica 2025, pubblicati oggi, sono stati accolti con grande soddisfazione dai vertici del Policlinico Gemelli e dagli artefici di questo successo internazionale.

“Il risultato ottenuto dalla Ginecologia e Ostetricia del Gemelli nella classifica World’s Best Specialized Hospitals 2025 – afferma il professor Giovanni Scambia, Direttore scientifico del Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, ordinario di Ginecologia all’Università Cattolica – ci gratifica molto perché premia la nostra volontà di essere sempre all’avanguardia da un punto di vista tecnologico, di riservare grande attenzione agli aspetti organizzativi della nostra struttura e, allo stesso tempo, di curare molto il rapporto con le nostre pazienti. Tutto questo rende la Ginecologia del Gemelli un dipartimento davvero ‘paziente-centrico’. Un concentrato di tutta l’innovazione possibile, mai disgiunta però da una estrema attenzione all’umanizzazione delle cure”.

“Questo straordinario risultato – sottolinea il professor Antonio Gasbarrini, direttore Uoc Medicina Interna e Gastroenterologia del Policlinico Gemelli Irccs, Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica – è frutto dell’impegno costante del nostro team multidisciplinare di esperti in malattie gastrointestinali, del fegato e del pancreas nel fornire cure di eccellenza, innovazione nella ricerca e attenzione alla centralità del paziente. Essere tra i primi dieci centri a livello mondiale rappresenta un motivo di grande orgoglio non solo per il nostro Cemad-Centro Malattie dell’Apparato Digerente, ma anche per l’Italia, che si conferma un paese leader nel campo della medicina. Questo traguardo è importante anche a livello internazionale, poiché dimostra come un approccio interdisciplinare, tecnologicamente avanzato e incentrato sulla persona possa portare a risultati d’eccellenza, offrendo speranza e cure innovative ai pazienti di tutto il mondo”.

“Siamo orgogliosi della conferma del Policlinico Gemelli ai vertici delle classifiche internazionali per diverse specialità – commenta il professor Marco Elefanti, Direttore Generale di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-. Ma l’eccellenza dell’offerta di assistenza ai nostri pazienti si declina attraverso tutte le 12 specialità che prende in considerazione questo ranking. Il nostro è un grande lavoro di squadra, trasversale a tutte le aree mediche e ai servizi, che tutti insieme contribuiscono a produrre eccellenza. E a fare del Gemelli il ‘miglior ospedale d’Italia’ da quattro anni consecutivi, secondo questa classifica internazionale. È un riconoscimento della qualità dell’offerta, che ci viene attributo ogni giorno dalle migliaia di persone che da tutta Italia e anche dall’estero scelgono il Gemelli per curarsi. Un vanto per il Servizio Sanitario della Regione Lazio di cui il nostro Policlinico è parte integrante”.

Newsweek in partnership con Statista, una piattaforma di intelligence di dati globali ha appena reso noto il ranking delle migliori specialità ospedaliere al mondo. La classifica, giunta alla quinta edizione, è frutto di un’indagine internazionale relativa a 12 campi specialistici: cardiologia, cardiochirurgia, endocrinologia, gastroenterologia, neurologia, neurochirurgia, pediatria, pneumologia, ostetricia e ginecologia, oncologia, ortopedia e urologia.

Fonte: askanews.it

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